
2017
Quest’anno parto da solo. Cinzia non c’è più, ma è comunque qui al mio fianco. Nocciolina è a casa con la nonna e con la supervisione di Cristina e Carlo speriamo vada tutto bene. Giovanna e Paolo mi aspettano a Hvar.
Siccome sono solo ho suddiviso il viaggio in più giorni e più tappe, vedrò delle cose nuove del Quarnaro e della Dalmazia. Avventura!
Primo giorno
La prima tappa prevede la visita del castello di Miramare a Trieste. Se capitate da quelle parti non perdetevelo. E’ ancora più bello, più affascinante, più maestoso di quanto qualche fotografia o qualche immagine televisiva possono mostrarvi. Oltre al castello il parco intorno, gli arredamenti, le opere d’arte, l’approdo privato, le scuderie tutto ti trasferisce magicamente e istantaneamente in un’altra epoca. Ti immagini di percorrere il parco al mattino presto o al tramonto guardando lontano verso il mare. Ti immagini i cavalli che ti salutano quando entri nelle scuderie. Ti immagini feste sfarzose, balli travolgenti, cene interminabili, abiti di seta e di velluto. Nemmeno ti viene in mente che in un ambiente così possano essere passate delle preoccupazioni, delle incomprensioni, delle difficoltà.
Dal castello mi trasferisco nella piazza principale di quella che considero la mia città di adozione da quando sulla mia carta di identità è scritto TRIESTE in maiuscolo. La piazza Unità d’Italia fa il paio con il castello e mostra bene quanto questa città sia stata importante per la storia di tutta Europa. Pranzo leggero e veloce in un bar affacciato sulla piazza e poi via alla volta della seconda tappa della giornata.
Attraverso la frontiera tra Italia e Slovenia e percorro la ormai consueta strada che mi porta al confine croato. Niente da segnalare sulla via se non che la coltivazione dei cavoli la fa da padrone. Cavoli dappertutto, cavoli di ogni genere, cavoli verdi, rossi, bianchi. Sembra che tutti coltivino cavoli.
Passo il confine croato e sinceramente mi sembra di essere un po’ tornato a casa. La sensazione è strana. Sapete quando riconoscete i luoghi, i profumi, magari qualche curva della strada e vi tornano in mente ricordi, immagini, risate, sorprese che trovate proprio dietro quella curva. Ecco questo è il mio stato d’animo.
Ma bando alla nostalgia, Cinzia è qui con me che sorride. Entro in autostrada e mi dirigo verso la seconda tappa. Poco dopo arrivo a Rijeka (Fiume). E’ una città grande, strana, un po’ bizzarra e anche un po’ sporca a dire la verità. Una strada immensa che costeggia il mare mi conduce al porto dove parcheggio. M’incammino verso il centro che ha molto a che fare con Trieste. Ripensando al Vate, Gabriele d’Annunzio, mi bevo un caffè e riparto.
Percorro la strada litoranea verso sud alla volta della terza tappa e anche ultima della giornata. La strada sembra sia stata appena tolta dalla scatola tanto è nuova. E’ molto trafficata, rivenditori di auto, centri commerciali, multisala, aziende anche estere di vario genere, sembra di essere in Italia. Sulla destra il nuovo porto con attraccate un certo numero di navi mercantili e petroliere e con altre in rada in attesa. Non è che con questo porto Rijeka col tempo prenderà il posto di Trieste? Per fortuna non ci sono ancora molte vie di comunicazione che la collegano agevolmente con il resto dell’Europa, ma sono in costruzione, purtroppo. Per inciso, in Croazia praticamente non esistono ferrovie, quelle poche che ci sono molto vecchie e lente costruite perlopiù durante il periodo austriaco.
Arrivo al ponte che unisce la Dalmazia all’isola di Krk (Veglia in italiano). Il ponte è recente ed è un’opera di ingegneria davvero notevole e ce ne sono parecchi di ponti di questo genere in giro per la Dalmazia. Krk è un’isola abbastanza grande, brulla con pochi paesi perlopiù sulla costa. E’ un centro turistico di una certa importanza anche per gli italiani in vacanza che sembra si concentrino proprio nella città di Krk. Io ho scelto un’altra destinazione. Passo per Punat (Ponte) e mi accorgo che il paese, le zone circostanti e la baia sono un immenso cantiere di rimessaggio e riparazione di barche da diporto. Ce ne sono centinaia sia in mare che a riva che nell’entroterra, di ogni genere e di ogni dimensione. Se dovete far riparare una barca probabilmente Punat è il posto migliore dell’Adriatico. Punat è anche un grosso centro di coltivazione dell’ulivo e di produzione di olio.
La baia di Punat è quasi completamente chiusa, ci si accede attraverso uno stretto canale naturale e al centro della baia c’è l’isolotto di Kosljun (Cassione) sul quale i benedettini costruirono intorno al 1100 un’abazia che passò ai francescani nel 1447. Il convento di Santa Maria possiede una delle più grandi e importanti biblioteche d’Europa con oltre 30.000 volumi antichi, tra questi una delle tre ristampe esistenti al mondo dell’Atlante di Tolomeo stampata a Venezia nel 1511. Sull’isola è presente anche la Chiesa dell’Annunciazione di Maria dell’XI secolo e la Cappella di San Bernardino dello stesso secolo entrambe contenenti opere di notevole pregio. Nel bosco intorno al convento ci sono inoltre la Cappella della Natività del 1651 , la Cappella di Santa Croce del 1579 e la Cappella di San Francesco del 1654, tutte affrescate. Insomma non male per un’isoletta di soli 1.000 metri di diametro. Lascio Punat alle spalle e mi dirigo verso la mia meta: Baska (Bescanuova). Fatico non poco per trovare il mio appartamento ma quando riesco a trovarlo mi chiedo perché la mattina dopo dovrei andarmene: camera ampia, cucina appena montata, bagno splendido e terrazzo sul sole che tramontando si specchia nell’Adriatico. Mi do una sistemata e parto alla ricerca di un ristorante. Baska è un paese prettamente turistico, avrà pure una storia, ma ho poco tempo. Tedeschi e scandinavi occupano praticamente tutti i tavoli soprattutto quelli dei locali sulla spiaggia. Trovo un tavolo e mangio pesce. Poi a nanna.
Secondo giorno
La mattina dopo sveglia presto, la giornata sarà lunga. Lascio un biglietto sul tavolo per salutare e ringraziare la padrona di casa e via. Riattraverso l’isola e mi fermo all’aeroporto di Rjieka che sta sull’isola per la colazione. Riattraverso il ponte e svolto a destra sulla strada costiera per raggiungere la prima tappa della giornata.
Attraverso paesini di vario genere e di vari colori con gente in giro sia del posto che turisti. A un certo punto però la strada comincia a salire decisamente. Non so se sia la strada che avevo programmato oppure un brutto scherzo del navigatore. Non posso farci nulla e decido di proseguire fidandomi dell’elettronica. Terminata la salita mi trovo su un altopiano, brullo, con poche coltivazioni e con pochissimi paesi. A un certo punto trovo due carri armati arrugginiti a guardia di un ampio cancello con due garitte ai lati, un caseggiato poco più indietro e qualche soldato in giro. A tutta l’aria di essere una caserma. Proseguendo ai lati della strada si notano case diroccate o solo resti di case. Probabilmente sono le conseguenze della guerra appena passata e la ricostruzione non è ancora arrivata da queste parti. Mi parte spontaneo un pensiero per le persone che sono rimaste vittime e per l’idiozia dell’uomo.
A un certo punto la strada diventa più bella, più curata, cominciano ad apparire cespugli di vario genere e la strada scende fino ad arrivare al ponte nei pressi di Maslenica che supera un canale naturale che porta a una baia interna. Il ponte è stupendo, la gola profondissima e stretta, sembra un orrido sul mare. In lontananza si vede il ponte gemello dell’autostrada. La strada ora continua a scendere dolcemente fino a condurmi a Zadar (Zara) la mia meta. La città è grande e moderna, ma la perla è il centro storico anche se un po’ contaminato da costruzioni un po’ irriverenti dell’epoca di Tito.
Pranzo al volo in un locale del centro storico e riparto. Devo essere a Split (Spalato) per le 16 e 30 per imbarcarmi. Viaggio sulla litoranea. Attraverso Sukosan e il suo ammirevole porto turistico. Passo anche Sibenik (Sebenico) altra importante cittadina dalmata. Vorrei fermarmi ma il tempo stringe. Il paesaggio verso il mare è incantevole fatto di isole e isolette distese come lenzuola increspate su un mare blu liscio come l’olio. A volte sembra che la strada finisca nel mare, ma poi riprende con una curva o su per un ponte oppure tagliata dentro la scogliera. Man mano che mi avvicino a Split i paesi si fanno più frequenti e più affollati di turisti, di auto e di barche. Passo da Poljca, da Trogir (Traù), da Kastel Stafilic (Castel Stafileo), da Kastel Novi (Castelnovo), da Kastel Luksic (Castel Vitturi), da Kastel Komilica (Castel Abbadessa), da Kastel Sucurac (Castel San Giorgio) che come suggeriscono i nomi hanno o hanno avuto il loro bel castello, terra di pirati. Quindi giungo a Split e il campanile della Cattedrale mi guida al porto. Appena in tempo. Dieci minuti di attesa e quindi l’imbarco per l’isola di Hvar.
Sul traghetto incontro un ragazzo francese che gira il mondo a piedi portandosi dietro uno strumento medioevale persiano, un santur. Daniel decide di tenere un concerto per noi viaggiatori stanchi allietandoci con la sua musica persiana e il suono melodioso del santur. Le due ore passano veloci navigando in un mare ancora più blu di quello nei miei ricordi. Oltrepassiamo il faro dell’isola di Brac che questa volta mi da il benvenuto, la vista di Stari Grad in lontananza e Brusje appollaiato su una collina dell’isola.
Sbarchiamo, saluto Daniel, ci scambiamo i numeri di telefono e ci promettiamo di rivederci, cosa che faremo. Mi dirigo verso Stari Grad alla ricerca del mio appartamento. Sembra che tutto sia rimasto uguale all’ultima volta.
Dopo una faticosa ricerca trovo il mio appartamento che non è proprio in riva al mare ma leggermente all’interno. L’appartamento è grande forse troppo per una persona sola, ben attrezzato. Il padrone di casa è italiano, di Padova per la precisione. E’ molto cordiale e mi offre subito l’immancabile Karlovaco di benvenuto mentre mi spiega come funzionano le attrezzature del mio alloggio e mi invita a prendere quello che voglio dal suo orto e dalle sue piante da frutto.
Sistemazione del bagaglio, qui mi fermo qualche giorno, rassettata veloce e via a controllare se Stari Grad è sempre quella e alla ricerca di un ristorante dove concedermi qualche prelibatezza locale.
Nei colori del tramonto Stari Grad pare essere rimasta la stessa. I locali sulla riva della baia sono ancora quelli, gente in giro e ristoranti pieni. Dopo un’attenta ricerca mi accomodo al Pinetta. Non è il top, ma per quanto mi ricordo si era mangiato bene. I tavoli del ristorante sono disposti in un vicolo stretto che si affaccia sul mare. Chiedo al cameriere cosa mi propone: che domanda?! la specialità della casa, zuppa di pesce alla buzara con polenta e una bottiglia di vino bianco locale. Mentre aspetto chiamo Paolo e ci accordiamo per incontrarci il giorno dopo sulla spiaggia di Milna, con calma, intorno a mezzogiorno. Arriva il pane e con estrema gratitudine verso il cameriere anche il vino, bianco, fresco, ottimo, fatto apposta per gli assetati. Dopo non molto ritorna con una pentola di terracotta e un piatto con la polenta. Mi mette tutto davanti e mi suggerisce di mangiare con calma. Ha ragione, è una porzione da lottatore di sumo. Mi infilo nella pentola, ci infilo anche la polenta e sarà per la fame, sarà per la gustosità del brodetto, sarà per la delicatezza del pesce e dei crostacei, sarà per il vino che accompagna perfettamente ma il fondo lo raggiungo non proprio con calma. Il cameriere torna per sparecchiare e mi chiede se voglio altro.
Rispondo di no. Lui mi chiede di stare lì ad aspettare. Ritorna con due bicchieri di un qualcosa che sembra te, si siede lì con me e mi dice che visto che sono solo vorrebbe farmi compagnia per un po’. Mi racconta del suo ristorante, mi parla della cuoca che è sua figlia, mi chiede da dove vengo e come mai sono lì. Facciamo tardi e i bicchieri di te che poi è grappa di carrube si accumulano. Mi invita ad entrare e mi presenta la famiglia. Faccio i complimenti a tutti e decidiamo di rivederci nei giorni seguenti.
Giorni seguenti
Mi sveglio con il sole già splendente. Come sapete la giornata deve iniziare con una buona e abbondate colazione e, visto che non posso recarmi da Klaudia, mi organizzo. In questo luogo bizzarro non si va al bar per cappuccio e brioche, ma prima si passa dal panettiere e si compra la brioche poi si va al bar, ci si siede e si ordina il cappuccino o quello che volete che con calma verrà servito. Terminato il rito della colazione mi metto in strada per raggiungere Hvar. Controllerò che anche qui sia tutto in ordine, non si sa mai. Lungo la strada osservo il panorama e posso certificare che i cespugli e i pini sono tutti al loro posto nonostante gli ultimi incendi. La fila interminabile di macchine sulla strada conferma che le spiagge di Dubovica e di Zarace sono ancora presenti all’appello. Proseguo e sulla destra con un sospiro di sollievo noto che la strada per Malo Grablje non è stata asfaltata ed è rimasta nelle condizioni in cui l’avevo lasciata, forse anche un po’ peggio. Poco più avanti sulla sinistra la via per Milna è ancora lì. Bene, la prenderò più tardi.
Arrivo a Hvar. Il parcheggio non si è mosso, ottima notizia. Quattro passi e sono in piazza. Sole a picco, caldo bestia, ma cosa volete che sia, sono in vacanza, al mare, a Hvar, mica ci si può lamentare. E poi è un po’ come riaprire la porta di casa dopo anni e scoprire che niente è cambiato, tutto è rimasto al proprio posto. Mi bevo un caffè al BB Club, guardo la gente passare, osservo i turisti in coda sulla banchina ad aspettare sotto le palme che quelli appena arrivati finiscano di scendere dall’aliscafo per imbarcarsi. Mi dicono che adesso c’è anche un idrovolante che fa servizio da Ancona, costerà un botto. Passeggio un po’ sulla banchina, tra i vicoli della città vecchia, guardo qualche vetrina, scatto qualche foto.
Poi riprendo l’auto. Direzione Milna. C’è molta gente in spiaggia, non vedo l’allegra famigliola napoletana. Telefono. Paolo scatta in piedi, si sbraccia, mi chiama a voce alta e mi corre incontro. Mi sento un po’ imbarazzato dal suo abbraccio ma va bene tutto, dopo qualche anno dovevamo pure essere sicuri di essere reali. Giovanna è in splendida forma, Chiara è cresciuta, molto.
Sono un po’ ansioso perché non sono sicuro che la famigliola croata mi riconosca e nello stesso tempo sono anche eccitato per il fatto di rincontrarli. Il dubbio lo scioglie Giulia. Baci e abbracci poi mi prende per mano e mi porta dentro, chiama Klaudia: “Guarda chi c’è.”. Klaudia chiama il suo papà e la sua mamma e si da inizio alla festa stappando un paio di Karlovaco. Non mi chiedono nulla di Cinzia, sanno già tutto. Merito di Paolo il quale dopo un po’ arriva a chiamarmi facendo un po’ il geloso. Ordino il mio pescione e Giovanna scoppia in una risata ricordando che io la spigola alla brace l’ho sempre chiamata pescione, il mio pescione. Mangiando cala un momento di tristezza ricordando Cinzia. Ma ci riprendiamo subito ricordando i momenti belli e allegri.
Il giorno dopo tocca a Sucuraj (San Giorgio). Strada lunga da Stari Grad e strada stretta e tortuosa, con tanti sali scendi. Si viaggia verso oriente tra pini, ulivi, vigne, fichi, lavanda, mirto e rosmarino. Si viaggia tra minuscoli villaggi e tra altri più grandi, tra taverne e Cappelle solitarie sulla strada. Si viaggia tra capre e pecore con qualche cane che abbaia.
A un certo punto coda, ma è quella del traghetto. La supero e arrivo in questo piccolo villaggio di pescatori che sembra abbia avuto tempi migliori. Ora è poco abitato, i giovani se ne vanno, qui non c’è niente da fare. E’ anche decisamente vecchio rispetto alla parte occidentale dell’isola. Si gira tutto in attimo. Caffè, qualche foto e riparto.
Tornando verso la civiltà decido di immergermi. Piglio la prima strada a destra di fianco a una piccola konoba e mi addentro nella pineta. La strada è sterrata, molto stretta e in discesa. Proseguo finché posso, poi proseguo a piedi per una decina di minuti su un sentiero intravedendo il mare azzurrissimo tra i pini. Penso alla fatica che farò per tornare su. E’ la baia di Poljica, paradiso terrestre. Ci saranno massimo 2o persone, mare che dall’incolore trasparente del vetro degrada fino all’azzurro intenso e al blu cobalto. Dietro la pineta e la macchia mediterranea. I profumi del rosmarino, del mirto e della lavanda e le immancabili cicale. Qualcuno ha costruito qualche casa. Ombra se vi piace l’ombra o sole pieno se siete patiti della tintarella. Relax totale, temperatura alta ma brezza che mitiga, sciabordio che concilia, risata di un bimbo che ha appena rovesciato in testa alla mamma un secchio d’acqua. Chi torna più a casa?
Purtroppo invece bisogna darsi una mossa. Raccolgo le mie cose, mi metto lo zaino in spalla e inizio la salita sotto i pini. Faticaccia, ma ne è valsa la pena. E di calette come questa è piena l’isola, basta solo avere tempo e voglia di camminare e vi assicuro che resterete a bocca aperta.
Tornando a Stari Grad mi concedo una sosta a Vrboska giusto per assicurarmi che la palma sia ancora in mezzo alla baia. Mi siedo in un bar sulla banchina per una Karlovaco e uno spuntino veloce. Mi bevo anche un caffè poi riparto.
Il giorno dopo devo fare un’altra visita. Mi reco di nuovo a Hvar e cerco la lavanderia del marito di Kluadia. Mi sarei aspettato un negozio e invece è una specie di portico con un paio di macchine per lavare. Trovo Danilo sepolto sotto lenzuola, tovaglie e tovaglioli tutto rigorosamente bianco. Ci sediamo all’ombra e chiacchieriamo un po’. Poi lo lascio lavorare e vado in centro, mi faccio un giro, mangio da Klaudia e tornando decido di esplorare la baia di Dubovica.
Lascio la macchina a lato della strada sotto il sole e mi incammino. Si prevede una risalita terribile. Qui pochi pini ma cespugli vari e ulivi piantati in bell’ordine. Il sole è bianco, il cielo azzurro e blu si confonde all’orizzonte con il mare. Tanta gente. Si nota che la baia è conosciuta e frequentata così come quella di Zarace che sta poco più in là. Nella baia ci sono delle barche con dei ragazzi che si divertono molto. Il motoscafo della polizia che qualcuno avrà chiamato mette ordine. Non è certo la baia di Poljica in quanto a tranquillità ma è sicuramente un bel posto per prendere il sole. Ci sono due bar, alcune costruzioni probabilmente di pescatori, c’è anche una Chiesetta. L’acqua non so proprio come descrivervela, fate conto di stare ai Caraibi, o in Sardegna non certo a Rimini anche se è comunque Adriatico.
Rimango lì per un po’ ma è impossibile, troppo caldo. Decido di tentare la risalita. Scruto la collina cercando di capire dove ho parcheggiato e nello stesso tempo cercando la via meno faticosa. Mi infilo in un uliveto almeno c’è un po’ d’ombra, per un po’. Poi il sentiero comincia a salire ripido e l’ombra finisce. Faccio parecchie soste ma ce la faccio, arrivo sulla strada con il fiatone.
Ultimo giorno. Giorno di saluti, giorno di acquisti, giorno di cartoline. Certo che nell’epoca di Facebook e di Instagram le cartoline non hanno più senso, roba da romantici incalliti e io e Cinzia continuiamo a esserlo. Sai che emozione ricevere una cartolina con su scritto “Ciao!” oppure “Un bacio da …” o addirittura “Ti voglio bene, mi manchi.” Adesso invece tutti lì a pubblicare foto tutte ritoccate per far vedere come sono bravi, con dei cieli improbabili, dei tramonti asettici, tutte o quasi senza sensibilità, senza amore, senza un messaggio personale, senza una dedica. E lo stesso vale per i souvenir. Nessuno che porta più a casa alla mamma o alla zia o alla ragazza di cui è innamorato una collanina, una tazza con su scritto … o un sacchettino di lavanda o un centrino di pizzo fatto dalle Suore.
L’ultima sera la passo a Jelsa. Parcheggio davanti al supermercato e dopo pochi passi sono in piazza. Il campanile è illuminato. Purtroppo non ho la macchina fotografica, mi dovrò accontentare del cellulare. Mi addentro tra i vicoli. Mi affaccio in una poi due konoba fino a che la terza mi sembra quella giusta. Mi siedo in un tavolo apparecchiato sotto il pergolato. Si avvicina una ragazza carina in tutti i sensi e ordino pesce e vino. Tutto ottimo. Sarà l’aria? Pago, saluto. Lei mi regala una cartolina per ricordo. Mi faccio quattro passi tra i vicoli verso il porto. Per concludere cosa c’è di meglio di un Mojito? E dove bere un Mojito a Jelsa se non al Mojito Bar? Mi avvicino, do un’occhiata. Molta gente, molti ragazzi ma per fortuna c’è anche qualche compagnia con un po’ di anni sulle spalle come me. Mi bevo il Mojito con calma, guardandomi intorno e ascoltando Lou Reed a palla. Ragazzi che ballano, che ridono, che urlano. Bell’ambiente, bisognerà tornarci.
Mi imbarco presto sul traghetto, il viaggio che mi aspetta è lungo. Non ci sono solo turisti ma anche gente del luogo che si reca a Split per affari o per acquisti. Qualcuno sbadiglia e si stira, qualcun altro continua a dormire, altri si sono portati il loro cane. L’aria sul ponte è frizzante, qualche barca naviga tranquilla nelle prime luci del giorno, qualche delfino nuota accanto al traghetto dandoci il buon giorno. Serve un caffè.
Nel porto di Split è ormeggiata una nave da crociera e le attività fervono. Sarà uno dei classici tour del Mediterraneo dove un giorno sei qui e l’altro sei là, senza assaporare niente senza renderti conto di nulla, solo di quello che è stato programmato dalla direzione.
Sbarco e raggiungo l’autostrada. Tirata unica fino al confine con la Slovenia. Devo spendere le Kuna che ho ancora in tasca e, come da tradizione con Cinzia, mi fermo in una delle bancarelle prima della frontiera. Qui la gente sa bene che la Kuna appena passato il confine diventa carta senza valore e allora si ingegna con bancarelle al lato della strada dove vendono i loro prodotti. Grappa nelle più varie declinazioni, funghi raccolti da loro e fatti seccare, formaggi di capra, frutta sotto spirito, miele e confetture. Compro dei funghi per uno dei prossimi risotti e una bottiglia di grappa alla prugna per un amico.
Ringrazio il doganiere per l’ospitalità e con calma mi dirigo verso Grado dove passerò la notte.
Il giorno dopo visita e caffè a Palmanova e poi siccome non ho voglia di tornare a casa e ributtarmi nei problemi e nelle attività non proprio entusiasmanti della quotidianità, decido di fare una deviazione a Salò. Sempre bella e fonte di tanti ricordi.
A casa c’è una bimba pelosa che come sente il rumore della macchina non sta più nella pelle. Ci concediamo una mezza giornata di coccole poi si ricomincia.